L'età antica
L’oreficeria campana, con radici nel I secolo d.C., è celebre per capolavori come il bracciale d’oro di Pompei esposto al MANN di Napoli. Scavi a Pompei, Ercolano e altre città vesuviane hanno rivelato gioielli raffinati in oro, argento e pietre preziose, ora esposti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La storia dell’oreficeria in Campania affonda le sue radici in epoche remote, basta solo ricordare che le testimonianze di Pompei datate entro il I secolo d.C. rappresentano già dei capolavori eccelsi certamente risultato di raffinamento di tecniche del passato, evolute fino al compimento di gioielli di altissimo prestigio come ad esempio il bracciale con le protomi leonine che sorreggono una medaglia, ritrovato nella casa detta “del bracciale d’Oro” nell’Insula Occidentalis di Pompei. Un pezzo di alta oreficeria del peso eccezionale di 610 grammi (oggi al Mann di Napoli) ritrovato al braccio di una delle vittime, probabilmente una ricca matrona proprietaria dell’edificio.
Ma di testimonianze preziose la città sepolta dal Vesuvio ne ha custoditi tantissimi, un patrimonio inestimabile, costituito da armille, orecchini, collane, in oro, argento e pietre preziose che rappresentavano i corredi degli esponenti di spicco della società pompeiana che aveva molta cura nell’abbigliarsi e mostrare il proprio rango di appartenenza.
L’artigianato nelle aree vesuviane (non solo Pompei, si pensi ad Ercolano, a Stabia, Moregine, Terzigno…) era molto sviluppato e non è un caso che nell’ambito degli scavi ercolanesi si sia ritrovata tra le altre la “bottega del Gemmario” (Insula Orientalis), uno spazio retrobottega in uno degli edifici, dove sono stati rinvenute numerose pietre, ciondoli, strumenti e due gemme sbozzate ancora in fase di lavorazione. In generale, nella molteplicità degli edifici sono stati ritrovati piccoli tesoretti (spesso vi sono interi gruzzoli di monete, probabilmente messi già da parte per la fuga) e gioielli raffinati come le collane a nastro arricchite da perle e smeraldi (Moregine, Fondo Valiante), anelli sigillo con gemme incise e molto vasellame in argento da tavola, spesso esibito dai proprietari ai propri commensali per mostrare la propria ricchezza.
Oggi un patrimonio di grande valore storico ed artistico esposto in larga parte nelle sale del Museo Archeologico Nazionale.
Con la proclamazione dell’Unità d’Italia, Napoli perdette una parte del proprio lustro, sia economico sia culturale pur conservando però quella sua anima artigiana. Nel centro storico, nel quartiere Pendino, infatti, un censimento del 1865 evidenzia la presenza, di 280 imprese artigiane, 10 fonditori di argento e 26 fonditori di galloni e scopiglie. Il Risanamento imposto alla città dopo l’epidemia di colera coinvolse anche il Borgo degli Orefici, che fu ridisegnato nella struttura delle strade ma non nel tipo di attività.
La vocazione che lo aveva connotato a partire dal ‘300 resta invariata fino ai nostri giorni, dove gli insediamenti delle botteghe e delle imprese orafe rappresentano il cuore nevralgico dell’area che pur senza rinnegare le origini e la tradizione hanno adeguato le produzioni ai nuovi sistemi tecnologici sviluppati anche grazie alla scuola di formazione insediata in un elegante edificio adiacente allo storico arco di San’Eligio nel cuore del Borgo, la «Bulla» che prepara gli studenti alla professione di orafo attraverso diversi percorsi che spaziano dalla gemmologia alla progettazione industriale.